La pittura è una poesia che si vede e non si sente, e la poesia è una pittura che si sente e non si vede.
Leonardo da Vinci
Non dimenticherò mai la prima volta che sono entrata nella chiesa di San Miniato al Monte a Firenze. Vista da fuori, la sua fiera presenza un po’ mi inibiva. Dal quel promontorio ha visto crescere Firenze, ha ammirato i fasti regali dei Medici, la cupola che si ergeva fino al cielo, si è commossa con le prime luci artificiali che hanno reso la città magica anche di notte, ha conosciuto gli orrori delle guerre, la paura della gente quando l’Arno ha straripato.
Quella volta che mi ci portarono non riuscì a non amare il ritmo cadenzato delle arcate disegnato dal serpentino e le divertenti protomi in facciata. Poi sono entrata, e lì mi son sentita attratta dalle sinopie, dal San Cristoforo -che per quel giorno, dunque, mi avrebbe protetta da tutto e tutti-, e soprattutto dal pulpito: un incantevole prodotto in marmo intarsiato, con l’aquila reggi leggio e quei riquadri che racchiudono la meticolosità e la fantasia del mondo romanico.
Rimasi incantata non so quanto tempo a fissarlo. Forse dai miei sogni di operai e scalpellini mi distrasse solo il mio amico, che con tono basso in rispetto al mio momento di riflessione, mi suggerì piano “toccalo”. E lì la magia, tutto mi è apparso ancora più bello: le dita stavano sfiorando il marmo freddo, intagliato quasi un millennio fa.
Quasi un millennio fa.
Eppure era lì, non era un’idea, un’immagine evanescente nella nostra mente: era proprio quello che hanno toccato, su cui hanno sudato gli scalpellini del dodicesimo secolo, i nostri avi. Le nostre radici. Non lo nego, avevo il cuore in gola per l’emozione.
Ecco, questa esperienza che conserverò per sempre nel cuore non è stata fine a se stessa, ma mi ha avvicinata ancora di più al mondo dell’arte. Ho iniziato a vedere e sentire le opere in modo diverso, perché l’arte non è solo da vedere ma anche da sentirsi dentro. Sentirsi dentro il lavoro, la fatica, la passione, l’attenzione.
Negli anni ho scoperto che questa fondamentale esperienza può essere condivisa. C’è chi si è impegnato nel rendere accessibile l’arte anche ai non vedenti, ovvero a tutti coloro che si vedono preclusa una parte del momento conoscitivo.
Il Museo Tattile Statale Omèro apre a tutti, ma davvero tutti coloro che si vogliono avvicinare al mondo dell’arte con estrema semplicità, ma tanta forza e determinazione dietro un progetto entusiasmante.
Toccare l’arte.
Oggi la collezione del Museo Tattile Statale Omèro comprende più di 250 opere antiche e moderne che rendono possibile l’incontro dei sensi. Immaginato per i non vedenti, aperto a tutte le persone che vogliono emozionarsi. Le copie al vero, in resina o gesso, delle maggiori opere d’arte mondiali, dall’arte etrusca alla sezione di arte contemporanea che include, fra i tanti artisti presenti, anche copie di Annigoni, De Chirico, Pomodoro.
Senza dimenticare l’educazione. Un museo in fin dei conti cos’è? È misera la definizione di contenitore, in un museo noi apriamo la nostra finestra cognitiva sul mondo e impariamo a conoscere ed apprezzare opere per noi nuove. In questa chiave, il Museo Tattile Statale Omèro prevede servizi educativi che rispondono alle esigenze del suo pubblico: dedicate a bambini e ragazzi, non vedenti, ipovedenti, e non solo; un calendario fitto di programmi che rendono entusiasmante l’approccio con l’arte anche ai più piccoli.
Per chi è appassionato di arte in tutte le sue declinazioni, il Museo Tattile Statale Omèro è una esperienza che vale la pena provare.